FIDES NON COGITATA, NULLA EST!

  1. Premessa

Questo sostiene Sant’Agostino nel De praedestinatione Sanctorum (c. II, 5) e questo sostengo anch’io. Avvalendomi della conferenza di GIOVANNI GENTILE, intitolata La mia religione (Le Lettere, Firenze 1992) e del saggio di TORRES QUEIRUGA, intitolato La risurrezione senza miracolo (edizioni la meridiana, Molfetta 2006), tenterò di dimostrare la validità della tesi enunciata nel titolo.

2. Contesto storico

Gentile tenne la suddetta conferenza in un momento terribile per l’Italia e per il mondo intero: il 9 febbraio 1943, nell’Università di Firenze, circa un anno prima di essere barbaramente assassinato nella stessa città dove ancora oggi riposa, nella Chiesa di Santa Croce, tra le “itale glorie” di foscoliana memoria. L’attentato fu compiuto da un Gruppo di Azione (sedicente) Patriottica, su ordine della locale direzione del partito comunista (cfr. F. PERFETTI, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio politico, Le Lettere, Firenze 2004; P. PAOLETTI, Il delitto Gentile, esecutori e mandanti. Novità, mistificazioni e luoghi comuni, Le Lettere, Firenze 2005; L. MECACCI, La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, Milano 2014).

Gentile aderì alla R. S. I. obtorto collo, perché il Ministro Severi, un suo ex collaboratore, lo aveva pubblicamente dileggiato sulla stampa con le seguenti parole: “I giovani, la scienza, la verità sono stati traditi [da lei, senatore Gentile] a tal punto che un ministro dell’educazione nazionale d’un governo che ripristina le libertà non può più averla fra i suoi consiglieri” (in S. ROMANO, La filosofia al potere, Bompiani, Milano 1984, p. 287). Gentile, infatti, gli aveva indirizzato delle lettere, in cui sostanzialmente si dichiarava disposto a collaborare con lui e con il nuovo governo nel comune ed esclusivo interesse della scuola e dell’università italiane. La pubblica sconfessione del Severi lo indignò come solo può succedere a un siciliano che aveva un alto senso dell’onore e che veniva pubblicamente accusato di voler entrare nelle grazie del nuovo regime, dopo essere stato un esponente di primo piano del vecchio. In particolare, temeva di apparire agli occhi dei fascisti duri e puri, che da sempre gli avevano fatto la fronda per le sue idee moderate, come un traditore. Inoltre, non riceveva notizie del figlio Federico sin da quando era stato internato in Germania, dopo il tragico 8 Settembre. Non le riceveva perché i nazisti volevano ricattarlo e spingerlo ad aderire alla Repubblica di Mussolini che non mancò di offrigli una carica molto prestigiosa: quella di Presidente dell’Accademia d’Italia (cfr. l’articolo di Antonio Carioti sul “Corriere della Sera” del 9 giugno 2005: Quando Gentile s’inchinò a Hitler per salvare il figlio). Gentile accettò per le ragioni di cui sopra, ma a se stesso e alla figlia volle dare la seguente giustificazione: “Bisogna marciare come vuole la coscienza. Questo ho predicato per tutta la vita. Non posso smentirmi ora che sto per finire. Dio ci aiuterà” ( in op. cit., p. 290). Come spiega Freud, spesso le vere motivazioni delle nostre scelte non coincidono con quelle che noi stessi diamo!

3. Contenuto della conferenza

Nella suddetta conferenza, Gentile si professa cristiano e cattolico “non da oggi; sia anche questo ben chiaro. Cattolico, a rigore, sono dal giugno del 1875, ossia da quando sono al mondo. E sono perciò desolato di non potervi annunziare anch’io una crisi, una tempesta dell’anima, una subita conversione, un colpo di fulmine…e se si vuol parlare di conversioni, posso dire che la mia conversione è la storia d’ogni giorno, di sempre” (G. Gentile, La mia religione, op. cit., p. 46). Come tutti i bravi credenti, del resto. Eppure, le sue opere furono messe dalla Chiesa Cattolica all’Indice dei libri proibiti, come anche quelle di Croce e Bergson; non vi compaiono invece quelle di Marx: sintomo abbastanza inquietante dell’ambiguità della Chiesa preconciliare. Di seguito, Gentile spiega le ragioni della sua adesione alla fede cristiana, sostenendo di essere cristiano in quanto che “la religione cristiana è la religione dello spirito, per la quale Dio è spirito; ma è spirito in quanto l’uomo è spirito; e Dio e uomo nella realtà dello spirito sono due e sono uno: sicché l’uomo è veramente uomo soltanto nella sua unità con Dio: pensiero divino e divina volontà. E Dio da parte sua è il vero Dio in quanto è tutt’uno con l’uomo, che lo compie nella sua essenza: Dio incarnato, fatto uomo e crocefisso” (Op. cit., p. 48).

4. Difficoltà da superare

Ma Gentile non si nasconde la difficoltà di professare una fede che non coincide perfettamente con quella del cattolicesimo storico e, a questo punto, si appella alla giobertiana “poligonia del vero”, che non è scetticismo o protagorismo, ma una consapevole, responsabile e personalissima interpretazione dell’unica assoluta verità. Gentile qui anticipa una corrente filosofica fiorita un bel po’ di tempo dopo la sua dipartita: l’ermeneutica, cioè quella filosofia in cui il pensiero pensante della persona s’infutura nel pensiero pensato della verità oggettivamente intesa (cfr. L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1971 e P. RICOEUR, Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book, Milano 1977). Perciò Gentile conclude sostenendo che la vita dell’uomo di fede “è tendenza eterna a un ideale, che è destinato a restare sempre ideale per poter adempiere alla sua funzione di forza motrice finale della vita umana”, che è quanto di più cristianamente significativo si possa dire e pensare ancora oggi. Ma anche filosoficamente rilevante e coincidente con il mio “tensionalismo”, cioè con quella filosofia che identifica il pensiero, e la realtà tutta, con la perenne tensione del finito verso l’infinito. Per quanto riguarda poi i singoli dogmi, come la verginità e l’assunzione in cielo di Maria, la transustanziazione, ecc., possono essere creduti e interpretati al tempo stesso, senza nessuno scandalo né per la ragione né per la fede, purché lo si faccia cum grano salis, cioè senza confondere il piano dell’esperienza religiosa con quello della riflessione teologica e filosofica.

5. Obiezione e sua risoluzione

Qualche critico ha però sottolineato che, in un’opera più o meno contemporanea alla conferenza di cui sopra, Gentile si esprime in termini ben poco ortodossi su di un tema dirimente tra l’essere o no un credente e cioè quello della risurrezione: “E come dal santo sepolcro il mito popolare fa levare e salire al cielo lo stesso corpo del Cristo, così un domma non meno eloquente e vivo alla fantasia delle genti promette nel giorno del giudizio finale la miracolosa risurrezione della carne. Sono scorie onde si pasce la fantasia…” ( G. GENTILE, Genesi e struttura della società, Sansoni, Firenze 1975, p. 145).

Ebbene, è proprio a questo punto ed in risposta a questa obiezione che tiro in ballo il libro di Torres Queiruga. Esso, infatti, propone una interpretazione del mito della risurrezione del corpo di Cristo, che prende “sul serio la nuova visione di un mondo con leggi autonome, che rendono impossibile l’andare avanti con rappresentazioni mitiche…” (T. QUEIRUGA, La risurrezione senza miracolo, cit., p. 12). Qui dunque l’interpretazione di Gentile del cristianesimo si salda con quella di un teologo cattolico dei nostri giorni che si colloca sulla scia del teologo protestante Bultmann, sostenitore della demitizzazione del cristianesimo (cfr. R. BULTMANN, Nuovo Testamento e mitologia: il manifesto della demitizzazione, Queriniana, Brescia 1970). Queiruga ripensa il cristianesimo, superando sia il fondamentalismo biblico sia la concezione mitica di Dio e di Gesù Cristo, e approda ad una fede più salda che non teme il razionalismo, ma lo sfida sul suo stesso terreno, quello della interpretazione della condizione umana con o senza Dio: la prima capace, anche grazie alla scommessa pascaliana, di dare un senso alla nostra vita e la seconda che lascia l’ultima sconcertante parola all’ “immane potenza del negativo”, come avrebbe detto Hegel!

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