UN LIBRO COME QUESTO

Con un libro come questo, i nostalgici del regime fascista possono dormire sonni tranquilli. Perché? Perché non mantiene la promessa di smontare “ad uno ad uno” i luoghi comuni sul fascismo, quelli ad esso favorevoli.

Parto dalla prefazione di Carlo Greppi che esordisce così: “A sessantacinque anni dalla caduta del nazismo…” Del nazismo? Ma non stiamo parlando del fascismo? Ancora una volta si dà per scontata la formula del “nazi-fascismo”, che contestai ad Emilio Gentile l’ultima volta che venne a Cecina a parlare nel liceo dove insegnavo e che certamente non trova riscontro nelle seguenti parole di Hannah Arendt: “I nazisti sapevano bene che il loro movimento aveva più cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che col fascismo italiano” (H. ARENDT, La banalità del male, Feltrinelli, Milano 2001, p. 182).

L’autore, da parte sua, scrive: “Diffondere spunti di memoria positivi su chi, come vedremo, è stato di fatto il maggior massacratore di italiani della storia…” (F. FILIPPI, Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, Bollati Boringhieri, Torino 2019, p. 5). Ma lo sa lui che prima del “biennio nero” ci fu in Italia il “biennio rosso” con morti e feriti da una parte e dall’altra? E che prima della Seconda guerra mondiale ci fu la Prima guerra mondiale con 650.000 morti e circa 2 milioni di mutilati? O non lo sa o, più probabilmente, fa finta di non saperlo.

Andiamo avanti: le pensioni! Il sistema pensionistico italiano – pontifica il nostro – non nasce col fascismo (ovvio!), ma il fascismo se n’è appropriato. Il che non dimostra affatto la falsità del contornato di p. 11: “MUSSOLINI CI HA DATO LE PENSIONI!”. La tredicesima? L’autore, a questo proposito, scrive: “Per quasi tutto il fascismo questo tipo di bonus fu lasciato alla libera scelta dei datori di lavoro”. Però subito dopo aggiunge: “La tredicesima mensilità, denominata ‘gratificazione’, fu inserita ufficialmente il 5 agosto 1937 dalla Camera delle Corporazioni fascista all’articolo 13 del contratto collettivo nazionale di lavoro” (Op. cit., p. 14). Quindi, alla fine, diventò norma!

Anche le bonifiche non le inventò ovviamente il fascismo, ma le potenziò e le regolamentò, se, come lo stesso autore ammette, la legge 215 del 1933, uscita dopo quelle del ’23 e del ’28, sanciva “quali fossero gli obblighi dei proprietari, come la manutenzione dei canali, indispensabile per mantenere la salubrità, o il divieto di accumulare troppi terreni bonificati, o di subaffittare le proprietà a scopo di lucro” (Op. cit., p. 26). E così anche l’edilizia popolare non fu un’invenzione del fascismo, però anche in questo caso “qualcosa [rispetto al passato] cambiò con la legge del 1935, che stabilì la provincializzazione del sistema di gestione dell’edilizia popolare e la costituzione di un consorzio nazionale” (Op. cit., p. 34), cambiò cioè la capacità attuativa di quanto già disposto dai precedenti governi liberali.

L’EUR? Una “quinta teatrale” la definisce il nostro, con la differenza che le quinte teatrali durano l’arco di uno spettacolo, mentre l’EUR è ancora lì col suo “Colosseo quadrato”: può piacere o meno, ma è pur sempre un monumento storico che testimonia lo slancio creativo di un regime che in vent’anni ha tentato di modernizzare un paese in forte ritardo rispetto alle altre grandi potenze dell’epoca. I risultati sono certamente discutibili sotto molteplici aspetti, se si pensa per esempio allo sventramento di alcuni quartieri romani che oggi nessuno oserebbe abbattere, ma inoppugnabili per quanto riguarda la loro stessa esistenza.

Sulla mafia, si sa che non fu estirpata definitivamente, ma l’azione di contrasto esercitata dallo Stato, grazie al prefetto Mori nominato da Mussolini, ebbe i suoi effetti. Tant’è vero che a p. 59 leggiamo che “quando, nel 1943, con la liberazione [io la chiamerei più correttamente invasione] da parte degli alleati dell’isola e la caduta del regime fascista in Sicilia, si registrò un vuoto di potere [non solo, ma anche il ritorno di molti mafiosi che erano stati costretti a cambiare aria], il sistema mafioso si rivide in tutta la sua virulenza”. Il che significa che quella “virulenza”, sotto il fascismo, l’aveva persa!

A proposito delle banche, l’autore scrive a p. 67: “Le misure prese dal governo per far fronte alla crisi [del ’29] furono innanzitutto il salvataggio delle grandi banche d’affari con denaro pubblico”. Ebbene, anche oggi lo Stato salva le banche con denaro pubblico: è un bene o un male? Ovviamente è un bene se tutela il risparmio ed un male se permette e incoraggia il malaffare dei soliti “ignoti”, malaffare che oggi mi sembra abbastanza in auge.

Venendo al ruolo delle donne, leggiamo: “La prima legge organica fascista di rilievo sul tema, ad esempio, è quella che fonda l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia” (Op. cit., p. 80). Una legge colpevole però, secondo il nostro, di “avere messo al centro non la difesa della donna come individuo [io direi meglio come “persona”], ma l’atto di mettere al mondo figli”. Apriti cielo: esiste colpa più grave di questa? Ovviamente no, per Francesco Filippi. Che dire poi dei treni? La leggenda vuole che viaggiassero in orario, ma Filippi ne dubita in base al seguente ragionamento: se ci fossero stati dei ritardi, la cosa non si sarebbe risaputa, perché c’era la censura. Risaputa forse no, ma saputa sì, tramite le lamentele degli stessi viaggiatori, la cui eco sarebbe giunta fino a noi.

Sul fatto che Mussolini non sia stato un grande condottiero concordo, ma è proprio questo il punto: se Mussolini non si fosse lasciato travolgere dal delirio di onnipotenza e sedurre da Hitler, la storia del fascismo sarebbe potuta finire in un altro modo, mentre quella di nazismo e comunismo non sarebbe mai potuta finire diversamente da come è finita. Sul colonialismo italiano prima ancora che fascista, rimando alla lettura di un libro di ALBERTO ALPOZZI, questo sì capace di smontare ad una ad una “leggende, fantasie e fake news sul colonialismo italiano”, intitolato Bugie coloniali (Eclettica, Massa 2021). In esso viene rivalutato, con buona pace di Angelo Del Boca, il contributo dato dagli italiani, anche in epoca fascista, allo sviluppo sociale ed economico di quei territori che oggi sono in preda ai peggiori flagelli dell’umanità: guerra, fame, malattie.

Infine, parliamo di Gentile, citato a p. 124 perché colpevole di aver fatto diminuire, con la sua riforma, le iscrizioni alle facoltà scientifiche a tutto vantaggio di quelle umanistiche. Su questa presunta valenza antiscientifica non solo di Gentile ma di tutta la cultura italiana di quell’epoca, si pensi per esempio all’influenza di un grande antifascista come Benedetto Croce, si sono versati fiumi d’inchiostro. Secondo me non ci fu nessuna avversione, ma la fondata convinzione che la scienza non può prescindere da quell’Umanesimo di cui è pur sempre figlia. A Gentile, in particolare, va riconosciuto il merito di aver voluto storicizzare la scienza, anticipando la nascita dell’epistemologia moderna (Cfr. G. GENTILE, Scienza e filosofia, in Introduzione alla filosofia, Sansoni, Firenze1981, pp.171-87). Gentile poi fu ammazzato come un cane a Firenze, dai GAP, il 15 aprile 1944. Ma questo, Filippi, non lo scrive!